A cura di Ignazio Fanni
"Banditi.
tali sono i piloti della repubblica stellata che, ieri, hanno compiuto così
nobili gesta su Cagliari e su altri paesi della Provincia. Valorosi combattenti,
invero, costoro, che da una altezza pressoché irraggiungibile nei pochi minuti
in cui hanno sorvolato il nostro cielo, hanno lanciato senza parsimonia spezzoni
su spezzoni su uomini, donne, bambini, volutamente impiegando su il popolo
inerme armi costruite per l'offesa contro masse di armati e contro macchine
di guerra.
Degni continuatori delle imprese dei loro padri e dei loro fratelli maggiori
che caratterizzano la civiltà dei loro paesi.
E da questi uomini dovremmo imparare la civiltà, le norme del vivere civile,
il costume politico!...
Quale dura lezione per quelli che nella loro ignoranza, credevano che i popoli
anglosassoni e loro derivati fossero depositari di una superiore civiltà:
illusione creatasi attraverso qualche pellicola cinematografica amanita (sic)
ad uso e consumo degli ingenui, dimenticando che la storia di quei popoli
è nata dalla pirateria, dalla rapina, dalla violenza, dalla soffocazione di
ogni libera volontà, nel disprezzo di ogni altro popolo che non appartenga
alla loro razza maledetta...
Bisogna combattere per vincere...
Nel mondo di domani non ci deve essere posto per banditi del genere."
L'UNIONE SARDA del 19 febbraio 1943
...
"Quel pomeriggio, mi trovavo con mia moglie in una casa di Gonnosfanadiga
- racconta Gianni Ghiani, ingegnere minerario, all'epoca alto ufficiale
presso il Reggimento Artiglieria Sabaudo attendato presso il paese -
dopo pranzo sonnecchiavo quando venni svegliato dal bombardamento; corsi subito
fuori per dare una mano; i soldati stavano già soccorrendo i feriti,
ne contai un'ottantina.
Poco fuori del paese c'era un gruppo di artiglieri con cavalli e muli: anche
lì caddero le bombe.
Rimasero uccisi alcuni militari e i loro cavalli. Il motivo di questa carneficina
non si saprà mai
- prosegue l'ingegner Ghiani -
Gonnosfanadiga non era un bersaglio strategico.
Non credo potesse avere rilevanza un Comando di Reggimento.
L'impegno del nostro Gruppo era quello di intervenire in caso di un eventuale
sbarco nemico nella zona."
Altra testimonianza è quella di Massenzio Contu, figlio
dell'allora medico condotto del paese, allora quattordicenne.
"Avevo appena pranzato e subito dopo convinto mio padre a giocare a scacchi:
mia madre e mio fratello erano andati a Cagliari mentre mia sorella e un altro
fratello giocavano nel cortile.
Sentimmo delle esplosioni ma non capimmo subito. Furono le urla della gente
che invocava un medico a farci uscire immediatamente.
Ci si presentò davanti una scena terribile: uomini, donne, bambini,
arti sparpagliati e il sangue che scorreva nelle cunette, corpi immobili e
ancora persone ferite che cercavano di prestare i primi soccorsi a quelli
più sfortunati.
C'erano vittime anche dentro le case.
Mio padre intervenne laddove si poteva fare qualcosa, ma le ferite provocate
da quegli ordigni erano subdole, provocavano lacerazioni interne irreparabili.
arrivammo sino al fiume dove giacevano numerose donne, vittime dello spezzonamento
mentre lavavano i panni, e i loro bambini."
A prestare soccorso furono i soldati italiani e tedeschi.
Alcuni feriti vennero sistemati nell'ospedaletto allestito dalle forze germaniche
nella scuola elementare, altri in quello che il nostro esercito aveva approntato
vicino a Gonnosfanadiga, in regione Su Pardu.
Intanto arrivarono le ambulanze che, per ordine del comandante, il colonnello
Mucicciaro, trasferirono i feriti più gravi negli ospedali Carlo Felice
e San Giorgio di Cagliari, quest'ultimo ricavato nelle grotte di San Guglielmo.
Con le ambulanze arrivò anche Lalla Pala, allora infermiera volontaria
della Croce Rossa, oggi ottantaduenne e insegnante in pensione.
"Ci era stato segnalato il grave bombardamento di Gonnosfanadiga per
cui raggiungemmo la località con una colonna di ambulanze e di altri
mezzi militari.
Fu terribile vedere quella strada cosparsa di cadaveri e di feriti, impressionante
soprattutto lo stato di quei corpi.
Ricordo in particolare un bambino, affacciato alla finestra, decapitato da
una scheggia e ancora altri bambini sul greto del fiume, falciati mentre correvano
incontro a quelle "macchine volanti".
Il paese era sconvolto, incapace di reagire.
Raccogliemmo quanto si poteva raccogliere e portammo quel carico "alla
grotta".
Appena ebbi un po' di tempo, scoppiai a piangere, era troppo anche per chi
era abituato a scene raccapriccianti".
La furia dei bombardamenti anglo-americani si scatenò
poi nelle campagne dove furono uccisi molti animali e un pastore di 15 anni.
Si chiamava Agostino Sogus.
Alcuni testimoni ricordano che il pastorello aveva salutato con la giacca
quegli aerei che poi gli avrebbero tolto la vita.
In una giornata così piena di dolore, avvenne anche un
fatto consolante.
La signora Eleonora Zurru diede alla luce una bambina, Barbara.
Poco prima dell'incursione aerea il marito, Peppino Floris, provvidenzialmente
l'aveva aiutata a spostarsi dalla camera da letto che venne poi centrata da
uno spezzone...
...
L'unione Sarda del 24 febbraio del 1943 intitolava così un articolo
sulla strage:
"L'olocausto di Gonnosfanadiga.
I morti ed i feriti dell'operoso villaggio dove si è scatenata la furia
malvagia.
Il sacrificio di tante vite umane non si cancellerà dalla memoria del
popolo sardo".
da Sardegna -Memorie di guerra. L'Unione sarda
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