(Libera riduzione da una pubblicazione del Generale Ferdinando RAFFAELLI, per cortesia del Col. Antonio Sasso)
Già
nel 1940, subito dopo la decisione del governo italiano di entrare in guerra
a fianco della Germania, ci si rese conto che la nostra aviazione, non potendo
mettere in campo un sufficiente numero di bombardieri, non avrebbe potuto
fare molto per contrastare i convogli diretti alle basi inglesi del Mediterraneo.
I nostri aerei oltre che poco numerosi, essendo costretti a sganciare da quote
- per quei tempi - abbastanza elevate e disponendo di dispositivi di mira
poco precisi, erano costretti a lasciar cadere obiettivo un elevato numero
di bombe, nella speranza che qualcuna colpisse una nave del convoglio o, meglio
ancora, una delle portaerei di scorta al convoglio stesso.
Dovendo caricare un elevato numero di bombe, queste necessariamente dovevano
essere di modesta potenza e quindi anche se arrivavano sul bersaglio raramente
il colpo era veramente efficace.
Parve quindi evidente che per interrompere questo circolo vizioso bisognava riuscire a sganciare sull'obiettivo, o nelle immediate vicinanze di esso, una bomba di elevata potenza che sicuramente avrebbe arrecato dei danni irreparabili.
Convinto che non ci fossero alternative valide, il 18 luglio del 1940, l'allora Colonnello Ferdinando Raffaelli inviò una proposta scritta agli Alti Comandi spiegando che sarebbe stato sicuramente possibile infliggere gravi perdite ai convogli nemici utilizzando degli aerei senza pilota che, guidati tramite un radiocomando, si sarebbero dovuti schiantare sulle navi nemiche facendovi esplodere sopra una o due bombe di enorme potenza.
l'aereo da sacrificare (aereo A.R.P.) poteva essere teleguidato mediante impulsi radio inviatigli dall'equipaggio di un altro aereo (aereo P) che l'avrebbe seguito tenendosi, però, a debita distanza.
Una missione di questo tipo avrebbe presentato i seguenti vantaggi:
a) infliggere notevoli danni ai convogli nemici (precisione del colpo con bombe di notevole potenza);
b) raddoppiare il raggio di azione dei velivoli in quanto l'aereo da sacrificare (non essendo previsto il ritorno) poteva utilizzare tutto il carburante per il viaggio verso obiettivo, e l'aereo pilota (non essendo gravato dal peso delle bombe) avrebbe comunque aumentato la sua autonomia;
c) non rischiare la vita dei piloti che altrimenti, per sganciare le bombe si sarebbero dovuti portare sulla verticale dell'obiettivo, esponendosi al fuoco del nemico (infatti nella fase finale l'aereo P si sarebbe tenuto a circa 4.000 metri dall'aereo A.R.P.);
d) utilizzare degli aerei dismessi o comunque vicini alla dimissione, che sarebbe stato troppo rischioso far volare con degli uomini a bordo.
Ottenute le necessarie autorizzazioni, nello stesso 1940 iniziarono (presso il centro sperimentale di Guidonia) gli studi e le prove pratiche per la realizzazione dell'A.R.P..
Per non complicare eccessivamente le cose fu deciso che il l'aereo sarebbe comunque decollato sotto la guida di un pilota in carne e ossa che, portato l'aereo in quota e sistemati i comandi secondo i parametri prestabiliti, inserito l'autopilota, tolta la sicura alle bombe, doveva lasciare l'aeroplano lanciandosi col paracadute, possibilmente, sull'aerodromo di partenza.
A questo scopo, nel ventre dell'aereo, fu predisposta una botola di lancio nella quale il pilota si disponeva in piedi e azionava il comando di apertura.
Senza il peso del pilota, la botola si richiudeva per effetto di due grossi elastici.
Per la realizzazione sperimentale furono messi a disposizione due S.79. Uno da usare come aereo P e l'altro con aereo A.R.P.. In seguito , come aereo P, fu usato un Cant Z 1007 Bis ed entrambi gli S.79 come A.R.P..
Il generale Ferdinando
Raffaelli
ideatore del velivolo radioguidato.
Sull'aereo pilota fu istallata una seconda cloche manovrando la quale si inviavano impulsi radio di diversa frequenza ( le frequenze più basse per le manovre nel piano verticale e le frequenze più alte per le manovre nel piano orizzontale).
Sull'A.R.P. i segnali venivano captati da un ricevitore radio
e trasformati in segnali elettrici che applicati a un servomotore muovevano
opportunamente una cloche identica a quella dell'altro aereo impartendo, così,
al servopilota le istruzioni per far mantenere all'aereo la rotta voluta.
Come autopilota fu utilizzato il De Bernardi Cerini, già sperimentato
proprio sull'S.79, e del quale una dozzina di esemplari erano disponibili
ancora imballati e mai utilizzati.
Dopo il decollo l'aereo P seguiva l'A.R.P. a una distanza di
circa 500 metri, per tenersi, poi, a una distanza di 4.000 m una volta arrivati
in zona operazioni.
La velocità dell'aereo pilota poteva variare tra i 320 e i 370 km/h
e quella dell'A.R.P. tra i 320 e i 470 km/h. La quota di crociera era di circa
6.000 metri e il raggio di azione dalla base era approssimativamente di 1.200
km.
La tattica d'attacco era "sempre impostata sul principio
della collimazione diretta, vale a dire mantenendo la rotta del velivolo P
costantemente puntata sull'obiettivo o (in caso di obiettivo mobile) sul punto
futuro e teleguidando il velivolo A.R.P. in modo da mantenerlo, a sua volta,
costantemente sulla congiungente stessa.".
Evidentemente una tale tattica presupponeva una perfetta intesa, sull'aereo
P, tra il pilota e il secondo che fungeva da teleguidatore.
Per migliorare la visibilità dell'A.R.P. soprattutto nella fase finale,
quando i due velivoli si trovavano alla massima distanza, si decise di dipingerlo
di giallo e gli si affibbiò il nomignolo di CANARINO.
I protagonisti
dell'operazione Canarino.
da sin., l'ing. Leandro Cerini,
il mar. Mario F. Badii, il cap. Emilio Montuschi
Molti e non sempre di immediata soluzione furono i problemi e gli ostacoli da superare.
L'allora capitano Emilio Montuschi in particolare si
adoperò per modificare gli apparati radio già esistenti adattandoli
alle nuove funzioni.
Come trasmettitore venne utilizzato un 320/Ter e come ricevitore un RA-18
modificati per poter lavorare su frequenze comprese tra i 300 e i 2000 cicli/secondo.
Si dovette quindi munirli di un separatore di frequenze in quanto i toni bassi
erano destinati ad agire sul servomotore del piano verticale mentre i toni
alti dovevano agire sul servomotore del piano orizzontale.
Infine un discriminatore per i toni alti e uno per i toni bassi dovevano provvedere
a fornire una corrente continua positiva o negativa ma di intensità
variabile, per far ruotare i servomotori in un senso piuttosto che nell'altro.
Fu studiata un'opportuna schermatura per eliminare i disturbi radioelettrici
che avrebbero potuto falsare i comandi ricevuti dall'autopilota dell'A.R.P.
Essenziale anche la collaborazione del signor Leandro Cerini
durante tutta la sperimentazione tesa a stabilire la velocità massima
alla quale l'autopilota era ancora in grado di rispondere ai comandi impartitigli
via radio e alla messa a punto ottimale dello stesso autopilota: velocità
dei motorini elettrici di comando, sincronismo, rapporti di demoltiplicazione
ecc. .
Per facilitare il compito del "teleguidatore" si mise a punto uno
strumento elettromeccanico (ripetitore cronogoniometrico) che, collegato alla
cloche di telecomando, riportava su due scale graduate le variazioni di altitudine
e di direzione radiotrasmesse all'autopilota.
Infine si pensò di corazzare adeguatamente l'autopilota
e l'apparato ricevente dell'A.R.P. perché occorreva che sino al momento
dell'impatto queste apparecchiature funzionassero correttamente anche se il
velivolo, ormai a tiro dell'artiglieria della nave attaccata, fosse stato gravemente
colpito o addirittura in fiamme.
L'aereo poteva trasportare una o due bombe (a seconda della distanza dell'obiettivo
dalla base di partenza) da 1.000 chili, contenenti 550 kg di esplosivo ad
alto potenziale. Il loro diametro era di circa 52 cm e la lunghezza vicina
ai 4 metri.
Venivano appese a dei ganci la cui rottura, al momento dell'impatto, ne avrebbe
determinato il distacco dall'aereo. Naturalmente, erano provviste di una normale
spoletta a urto, nel caso l'aereo si fosse schiantato sul bersaglio.
Ma poiché la massima efficacia si poteva ottenere facendole esplodere
in acqua a pochi metri dalla nave attaccata le si dotò anche di una
spoletta a inerzia, che entrando in funzione per effetto della decelerazione
dovuta all'impatto con l'acqua, avrebbe determinato l'esplosione della carica
con un certo ritardo.
Per studiare il comportamento delle bombe in acqua (traiettoria delle bombe
e momento ottimale per l'esplosione) di grande aiuto furono gli esperimenti
e le prove condotte dall'allora Maggiore Cesare Cremona.
L'OPERAZIONE CANARINO
Naturalmente tutte queste prove, anche a causa dell'inadeguatezza dei mezzi a disposizione, richiesero mesi e mesi di lavoro e solo alla fine di maggio del 1942 i velivoli furono dichiarati pronti per l'impiego.
A luglio aerei ed equipaggi furono trasferiti al Campo di Trunconi (presso Villacidro) e il 12 agosto parteciparono alla famosa "Battaglia di mezzo agosto" durante la quale la nostra aviazione riuscì a infliggere perdite consistenti alla flotta inglese.
Come detto l'A.R.P., a causa del colore giallo che gli era stato dato (per poterlo meglio seguire da una certa distanza) fu soprannominato il CANARINO e tutta l'operazione prese il nome di OPERAZIONE CANARINO.
A questo proposito ecco cosa scrisse l'allora Colonnello Raffaelli:
"La partenza avvenne poco dopo le 13 del 12 agosto: raggiunta la
quota stabilita di 2000 metri, il pilota dell'S. 79, mar. Mario Badii, si
lanciava regolarmente sul campo stesso di Villacidro; il Cant Z 1007 Bis (equipaggio:
gen. Faffaelli, ten. Rospigliosi, mar. Palmieri, 1° av.mot.. Monticelli)
che ormai aveva assunto l'A.R.P. in teleguida, lo seguiva a breve distanza
mentre i G. 50 della scorta decollavano. Dopo il lancio la piccola formazione
si dirigeva su Elmas , sulla cui verticale dovevano aggregarsi i due RE 2001
con bombe: ma questi si erano già diretti verso l'obbiettivo. ...
Lasciato il cielo di Elmas, fu raggiunto Capo Pula, punto prestabilito d'inizio della navigazione, cercando ancora, con un ampio giro, sempre alla quota di 2000 m, di raccogliere vari cacciatori.
Riuscito vano anche questo tentativo - e tenuto conto anche della limitata autonomia di cui disponevano ormai i due G. 50 aggregatisi - la strana e minuscola formazione si poneva in rotta verso l'obiettivo; tanto viva era, malgrado tutto, la speranza di poter violare la cintura di protezione della caccia nemica.
L'attacco era stato previsto con direttrice da S a N dopo un avvicinamento che, contornando da E l'isoletta della Galite, avrebbe condotto gli aerei a S del convoglio, la cui posizione, segnalata dalla ricognizione, risultava a 10 miglia a W del meridiano dell'isoletta. Tale direttrice era consigliata da ragioni di visibilità e da considerazioni relative agli altri attacchi concomitanti
Rotta dell'aereo
radioguidato Canarino
Tentato attacco del 12 agosto 1942
Fino alla vicinanza della Galite, il telecomando funzionò egregiamente;
ma quando già i contorni dell'isola cominciavano a stagliarsi nitidamente
all'orizzonte, improvvisamente l'aereo telecomandato cessò di eseguire
i comandi trasmessigli, sia nel piano orizzontale che in quello verticale;
il volo proseguiva stabilissimo - salvo una lieve precessione verso destra
- rivelando con ciò l'efficienza di tutti gli organi del velivolo, compreso
l'autopilota, ma i ripetuti vani tentativi di comandare sia la rotta che la
quota denunciarono ben presto una avaria nel complesso trasmittente, ove il
dielettrico di un condensatore si era bruciato senza possibilità di
sostituzione in volo.
Avaria mai verificatasi nel corso delle precedenti numerose prove ed ascrivibile
a due cause: il materiale autarchico comparso negli apparati recentemente
sostituiti ed il prolungato funzionamento continuativo richiesto al trasmettitore
durante i vari, quanto vani, giri di attesa della caccia di cui sopra.
Non rimase che seguire per un certo tratto l'S.79, mentre ogni provvedimento veniva tentato per riattivare il trasmettitore: appena superata la Galite i due G. 50 di scorta venivano intanto posti in libertà col segnale convenuto, per non farli trovare in difficoltà di carburante in pieno mare.
Superata la fascia costiera algerina ed accertata dal marconista l'impossibilità di porre riparo all'avaria, l'S 79 fu abbandonato alla sua sorte, lasciandolo proseguire - ormai autonomo - verso la zona desertica dell'interno. Il ritorno del Cant Z 1000 bis, a volo radente, ebbe luogo senza avvenimenti degni di nota.
Della fine dell'S. 79 si ebbero presto notizie da un telegramma della C.I.A.F.
che da Algeri segnalava l'esplosione, per urto, di un aereo sui monti a SW
di Khenchela, a circa 70 chilometri a S di Philippeville, a quota compresa
tra 1770 e 1800 metri, posizione in accordo, del resto, con una semplice estrapolazione
cinematica del tratto precedente della traiettoria.
Le autorità locali erano rimaste alquanto imbarazzate di fronte all'assenza
dei resti dell'equipaggio, che dichiararono "completamente carbonizzato":
avrebbero fatto meglio a dire: volatilizzato!
Si sottolineava l'imponenza dell'esplosione , la vastità della voragine
creata nelle rocce, la distanza alla quale erano state proiettate le varie
parti dell'aereo, ecc.
Elementi inequivocabili di riconoscimento dell'aereo la targa di uno dei motori,
le matricole di fabbricazione ancora incise su parte dei motori, su due eliche,
sul generatore elettrico Marelli".
Convinti della validità del progetto si decise di continuare apportando
le varie modifiche suggerite dall'esperienza:
Per quanto riguarda gli apparati radio si provvide a radicali trasformazioni
e al raddoppio di tutte le parti principali mediante apparati indipendenti
a funzionamento contemporaneo.
Vista la penuria di velivoli si decise di usare, come aereo P, un monoposto da caccia il cui pilota avrebbe dovuto guidare il suo aereo e contemporaneamente l'A.R.P..
Al posto dell'S.79 si decise di usare un aereo appositamente studiato dall'allora
ten. col. Sergio Stefanutti e del quale venne commissionata una piccola serie
alla "Aeronautica Lombarda " di Cantù.
Essendo destinato a effettuare pochi voli, questo aereo, era molto semplice
ed economico, e essendo il suo peso inferiore a quello di un S.79 (ad esempio
il carrello veniva sganciato subito dopo il decollo) consentiva un notevole
risparmio di carburante.
Anche questa volta si dovettero superare notevoli difficoltà, rese ancor maggiori dal precipitare degli eventi bellici, e solo ad agosto del 1943 si poté disporre dei primi aerei. L'8 settembre il colonnello Raffaelli si apprestava a tracciare la rotta per un attacco che si sarebbe dovuto sferrare contro le navi inglesi avvistate tra Salerno e Ischia quando venne a conoscenza che era stato firmato l'armistizio:
"non rimase che il triste compito di emanare le disposizioni per la distruzione e l'occultamento delle varie apparecchiature e della relativa documentazione.
Così si concluse, amaramente, il lungo quanto vano sforzo, protrattosi quanto la nostra sfortunata partecipazione al secondo conflitto mondiale, nell'affannosa lotta di pochissimi uomini, appassionati e convinti della bontà del sistema, decisi fino all'ultimo a compiere per intero il loro dovere.".
La cartina è tratta da "L'aereo teleguidato A.R.P." del Gen. S.A. Ferdinando Raffaelli, cortesia del Col. A Sasso. La foto sono tratte da Almanacco di Cagliari '90;
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