A cura di Dina Madau e della III-I Scuola Media Villacidro
USI E COSTUMI - LA PASTORIZIA
Quando il padre era pastore.
Il padre-pastore aveva le sue pecore nella campagna con l'ovile.
Generalmente le pecore venivano portate al pascolo alle due del mattino, infatti
le nutriva con l'erba e non conosceva l'utilizzo del mangime. All'alba il
pastore riportava le pecore all'ovile per mungerle, faceva quest'operazione
da solo, qualche volta invece veniva aiutato da un figlio o da una persona
"su srebidoreddu", che, se si trattava di una persona adulta,
veniva ripagata con una pecora e il suo agnello, se invece si trattava di
un ragazzo, con qualche spicciolo.
Il pastore, quando non ne possedeva di suoi, per pastura doveva
chiedere in affitto i terreni altrui e per mezzo ettaro di terra doveva dare
5 Kg di formaggio.
Il letame delle pecore (su stracosciu) veniva lasciato nel terreno
dove pascolava il bestiame, perché avrebbe costituito un buon letame
per la successiva coltivazione del grano, quel terreno sarebbe diventato quindi
molto fertile.
Il grano serviva per fare la farina che a sua volta veniva usata per fare
il pane per tutto l'anno.
Il pastore viveva in campagna con il suo gregge in una capanna fatta di frasche,
al centro della quale faceva il fuoco che generalmente veniva governato molto
attentamente in modo che la capanna non prendesse fuoco.
Il pastore in genere tornava a casa due o tre volte alla settimana per prendere
le provviste.
La lavorazione del latte.
Il latte si misurava con il litro, il mezzo litro, su quartu
e su quintu de litru.
Le brocche venivano costruite da Ziu Giuseppi "Crabattori" e da
ziu Paqualli Biasoli. Il latte veniva munto sia di mattina che di sera e il
pastore chiamava le pecore per nome e loro andavano verso il padrone da sole.
Il recipiente dove veniva versato il latte si chiamava "su liaunu".
Lo si portava al caseificio per venderlo, nelle brocche portate sulle spalle
a piedi o messe dentro le tasche della "bisaccia" in groppa all'asino.
A Villacidro c'erano tre caseifici in funzione quasi tutto l'anno, ad eccezione
del periodo in cui la produzione era minima e non era più conveniente
lasciare aperto l'opificio.
Il latte si vendeva anche nel vicinato o si lasciava a casa per uso familiare,
soprattutto per fare la provvista del formaggio, che quando il caseificio
era chiuso si faceva in casa.
Al latte versato in un grande "caddasciu" si aggiungeva il
fermento costituito da "su callu".
Si poneva il pentolone in un fornello a temperatura moderata per intiepidire
il contenuto che veniva delicatamente ma continuamente mescolato fino alla
coagulazione e alla separazione del formaggio fresco dal siero. Il formaggio
veniva successivamente versato nei contenitori di legno: uno per ogni forma;
dopo lo si lasciava asciugare e stagionare ponendolo su tavole appese al soffitto
di una stanza della casa.
L'ultimo prodotto del latte era la ricotta, che veniva appesa dentro un sacco
di tela per scolare bene.
A conclusione della produzione dei formaggi e delle ricotte, avanzava il siero
che per lo più veniva dato ai maiali, ma qualche volta anche ai bambini
o usato dagli adulti come lassativo.
La tosatura
Nel mese di Maggio si procedeva alla tosatura delle pecore alla quale partecipavano amici e parenti; era sempre una grande festa con pranzo a base di carne d'agnello arrosto o di pecora bollita.
La lana veniva tagliata con le forbici, lavata nel fiume e lasciata
asciugare all'aria.
Poi veniva venduta dentro sacchi di iuta a ditte forestiere che con essa facevano
di tutto.
Se ne lasciava un po' per uso familiare, che veniva cardata a mano, filata
con il fuso, raggomitolata e tinta con colori naturali, cioè ricavati
da varie piante ed erbe.
Con la lana si facevano indumenti per i militari.
Si tessevano le coperte cioè "is burras", "is
bettuas" per l'asino e "is munciglias" cioè
dei particolari zaini che usavano pastori e contadini. Le mogli dei pastori
tessevano la lana per fabbricare i tappeti per la casa o qualcuno lo faceva
per vendere e ricavare un po' di soldi per la famiglia. La nostra intervistata
ricorda che a Villacidro c'era un'anziana donna "zia Luisa Pinna"
che abitava in via Cuccuru Mugheddu che tesseva da quando era bambina senza
fermarsi mai, dalla mattina presto alla sera tardi finchè c'era un
po' di luce, in quanto non poteva comprarsi neppure una candela per l'estrema
povertà in cui viveva; con tutto questo lavoro poteva appena comprarsi
un po' di pane.
Il telaio inoltre costava e solo poche famiglie potevano permetterselo, perciò
la maggior parte delle donne filava a mano.
L'educazione e l'istruzione dei figli.
Alcuni ragazzi andavano a scuola fino agli otto anni almeno
per imparare a leggere e a scrivere, i più "intelligentini"
prendevano la licenza elementare; altri invece andavano al pascolo con il
padre e dormivano in campagna.
Durante il periodo fascista, Mussolini aveva bonificato alcune zone della
Sardegna, come Arborea e Sanluri Stato, pertanto molti figli di pastori, di
quattordici e quindici anni, erano andati via in quelle zone a cercare lavoro
perché nelle loro numerose famiglie il cibo non bastava per tutti.
I ragazzi più fortunati, le cui famiglie possedevano qualche pezzo
di terra, provavano a coltivarle per ricavarne qualcosa come fave, grano e
altro.
Gli agricoltori che non avevano terre le chiedevano al Comune; si pagava l'affitto
con una forma di formaggio.
Erano affittate ai pastori le terre di Soddu 'e Pani e di Turrighedda.
Le ragazze invece stavano in casa fino a quando, molto giovani si sposavano, e aiutavano le mamme nei lavori domestici, ricamavano e tessevano, due volte la settimana andavano al fiume a lavare.
L'abbigliamento.
Per affrontare i rigori dell'inverno all'aperto, quando doveva stare tutto il giorno dietro al pascolo del proprio gregge, il pastore usava coprirsi con "sa besti", un cappotto di lana, quella che ancora vediamo usare dalle maschere dei "mamuthones", sotto usavano un corpetto di pelle rovesciata mentre la lana era all'interno.
le donne e le ragazzine usavano coprirsi il capo con
un fazzoletto nero o colorato a seconda dell'età.
Per andare in chiesa anche le bambine dovevano portare il fazzoletto e le
scarpe che venivano fabbricate dal calzolaio oppure sandali fatti di tavola
con l'abito della domenica.
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