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VILLACIDRO: TRADIZIONI

A cura di SU DINDU

SU DINDU
LA VITA NEI BOSCHI - I TRASPORTATORI CON CARRI A BUOI
 IS CARRADORIS



Un'altra categoria di lavoratori, durante il taglio delle foreste, svolgeva un ruolo determinante ed Carro a buoiinsostituibile:i conduttori dei carri a buoi o CARROLANTI, come li chiamavano i toscani addetti al taglio e alle carbonaie.
Dalle nostre parti venivano chiamati carradoris tutti i carrettieri sia che guidassero carri trainati dai buoi, o dai cavalli, o dagli asini.
In un libro degli inizi del 1900 su Villacidro si legge che alla processione in onore di sant’Isidoro, sfilarono non meno di 200 gioghi di buoi.

Il possesso di un giogo di buoi e di un carro erano garanzia di un reddito per tutta la famiglia. Nel passato vigeva l’uso di procurarsi un giogo di buoi o un cavallo con rispettivo carro, iù e carru o cuaddu e carru, ancor prima di formarsi una famiglia. Un giovane che riusciva in questo intento, iniziando a servizio con i vari padroni, diventava partito ambito per le ragazze.

 

IL CARRO A BUOI

Ma vediamo prima di tutto com’era fatto il carro.

SA SCABA

Il carro a buoi è composto fondamentalmente dal telaio, sa scaba, ottenuto da un tronco di Carro a buoileccio sufficientemente lungo, in modo da poter essere tagliato a cinque metri. Il mastro carraio, su maistu de carrus, se lo andava a cercare in foresta, magari dietro indicazione di qualche capraio che conosceva bene il bosco. Ovviamente l’albero doveva essere tagliato nel periodo invernale, quando non vegetava, per evitare che il legno venisse attaccato dai tarli, su bremin’ ‘e linna. Il pesante tronco era trascinato in paese da qualche contadino con un giogo di buoi.
Dopo una prima sgrossatura con s’arramineta, una specie di zappetta tagliente con lungo manico che era usata per scorticare il tronco e per smussare eventuali nodi, il lungo tronco era lasciato a essiccare. In seguito, veniva spaccato in due, ma solo per tre metri circa, l’altra estremità, la cosiddetta punta del telaio, doveva rimanere intera.
Su maistu de carrus usava enormi cunei di legno per aprire il tronco in punta e poi delle zeppe più piccole, fino a raggiungere la giusta lunghezza. In tutte le parti così divise, praticava dei grossi fori sui quali inseriva dei tiranti di lunghezza proporzionale al variare della larghezza del telaio, il quale assumeva la forma a “V”. I tiranti erano ovviamente preparati dal fabbro ferraio.

S’ÀSCIA

Con opportuni supporti, al telaio veniva fissato l’asse che avrebbe alloggiato le ruote, s’àscia, anche questo realizzato dal fabbro.
All’asse venivano applicate due ruote al cui centro era montata una boccola, busciula, che, lubrificata periodicamente, serviva a smorzare l’attrito. Alle estremità, su appositi fori, erano inserite le chiavi, is crais, ottenute da un ferro a forma rettangolare, che impedivano la perdita delle ruote al continuo sobbalzare del carro.

IS ARRODAS

Le ruote erano molto robuste e da tempi remoti, per aumentarne la durata, venivano ferrate con Carro a buoiun cerchio di ferro, su lamoni, spesso due - tre centimetri, per inserire il quale i fabbri ferrai sudavano letteralmente le proverbiali sette camicie.
Il lavoro era svolto con il ferro rovente; gli uomini, immersi nel caldo e nel fumo, con mazze posavano il ferro rovente sul legno della ruota il più aderente possibile. Nel passato, i fabbri di diverse officine per ferrare le ruote, po nci ghetai is circus a is arrodas, si davano una mano a agiudu torrau, a scambio di aiuto.
Su lamoni, il cerchio aveva un foro o due per ogni settore della ruota, sul quale erano disposti dei bulloni a testa tonda e conica, is rabronis, che erano fermati con un dado o ribattuti nel cerchio.

SA MECCANICA

Nella traversa estrema della coda, veniva applicato il freno, sa meccanica, ottenuto da due tacchi di legno robusti ricoperti da un grosso strato di gomma. Il congegno funzionava tramite una leva di circa otto centimetri di spessore, alla cui base era montato un anello con gancio e un pezzo di grossa catena.
Nelle lunghe discese i conduttori legavano leggermente sa meccanica con una fune, in quelle più ripide, in genere solo per brevi tratti di strada, addirittura bloccavano le ruote, in modo da evitare che carro e carico potessero travolgere i buoi.

SU STERRIMENTU

Sul telaio veniva applicato un ripiano, su sterrimentu, fatto da tavole grosse tre quattro centimetri e larghe 20 - 30, di legno resistente: quercia, leccio o olivastro. Non tutto il telaio era coperto, ma solo la parte doveva contenere la maggior parte del carico. Circa un metro della parte ultima del telaio, de sa coa de sa scaba, veniva lasciata senza fondo, ma non per questo rimaneva inutilizzata. Anche il segmento anteriore del telaio, per tutto lo spazio occupato dai buoi, era libero.

SU GUABI

Nell’estremità anteriore del telaio, punt’ ‘e sa scaba, nella parte inferiore, veniva applicata una Carro a buoiplacca in ferro con un apposito incastro in cui era inserito un grosso anello, s’oioni, che un tempo era di legno e in tempi più recenti di ferro, era snodabile e collegava il giogo.
 Il giogo, su guabi, era formato da un tronco, solitamente di olivastro, lungo 140 centimetri, sul quale venivano sagomate le sedi che poggiavano sulla testa degli animali. Esisteva anche un guabi più corto, di 120 centimetri, che veniva utilizzato per aggiogare i buoi durante l’aratura, o quando venivano domati, per abituarli a camminare legati uno a fianco all’altro.
Sul giogo venivano fissati due pezzetti di ferro, is ossieddus, uno a mano dritta, a odriagus e uno a sinistra, manu manca, che permettevano di inserire due corregge di cuoio, is lorus, al capo principale. La lunghezza dei lorus era di 4 metri e mezzo e poteva variare anche in base allo spessore delle corna dei buoi. In Sardegna i buoi venivano giunti per le corna, mentre nella penisola per il collo. Credo che tale giunzione fosse possibile solo in territori pianeggianti, e che, data la natura del territorio, non lo fosse da noi. Is lorus, erano due, uno per ogni bue.
Agganciato il capo principale, sul quale era praticato un foro tondo e largo quanto il ferro, s’ossieddu, la correggia era fatta girare attorno ad ogni corno della bestia, in genere quattro giri per corno, passando a incrocio da una parte all’altra sulla testa dello stesso bue.
Tra la testa e il giogo veniva sistemato un cuscinetto di pelle, riempito di crine, in modo da attutire le sollecitazioni e l’animale non provasse dolore, escoriazioni e piaghe, no ddu friada.

IS ODRIAGUS

All’orecchio di ciascun bue veniva applicata una sottile corda, odriagu, la quale era di una lunghezza che superava almeno il montante posteriore del carro. Con tali funi, che un tempo fabbricavano gli stessi carradoris con erbe palustri, in genere saggina, saina, dirigevano i buoi nel loro andare, sia che fossero giunti al carro,  po andai a carru, o che arassero, po arai, o che trebbiassero po trebai.

IS CUBAS

Attorno al telaio erano montati degli anelli di ferro dove erano infilati dei bastoni appuntiti, i quali Carro a buoierano legati ai montanti del carro, cubas, mentre l’altra estremità era tenuta solidale mediante un giro di piattina di ferro, o anche con dei semplici bastoni più sottili e lunghi appositamente sagomati e uniti.
I montanti erano di legno resistente e robusto, capaci di sostenere carichi molto pesanti; potevano essere anche smontati, erano tenuti fermi da chiavi di legno a cuneo, is proceddus, che venivano conficcate nella parte inferiore.

IS FUSTIS DE ANELLA

Per sorreggere il carico, a circa due metri dall’estremità del telaio, si fissavano due bulloni con anello, uno per ogni lato, ai quali venivano agganciati due grossi bastoni con un cerchio, is fustis de anella, snodabili, legati di volta in volta al montante anteriore, a diversa altezza, a seconda del materiale da trasportare. A carro vuoto, erano tenuti stesi lungo il carro.
Carruba, cerda, còscia, cubidina, costituivano delle sovra sponde che davano al carro una grande versatilità, permettendo il trasporto di materiali ora voluminosi, ora sciolti, ora liquidi.

SA CARRUBA

Per il trasporto dei covoni, sa màghia, di grano, di avena, di orzo o anche di fave, i carri Carro a buoimontavano sa carruba, una specie di graticola di 19 bastoni, lunghi circa 2 metri e mezzo, sistemata tutt’attorno alla base di carico.

SA CERDA

Sa cerda era fatta con rami di olivastro, ollastu, odi fillirea, arridebi, era alta sui 150 - 200 centimetri. Ce n’era un tipo più alta che veniva utilizzata per caricare la paglia, incungiai sa palla, un’altra più bassa, usata per portare il letame, scavuai ladàmini, dalla stalla ai poderi del proprietario.
Nei paesi di pianura, dove non era facile rinvenire astine di olivastro o di fillirea, sa cerda era realizzata con canne di verbasco, cadumbu, più facile da reperire nei terreni non coltivati, is coturas.

SA CÀSCIA

Sul carro poteva essere montato anche un cassone, sa càscia, che permetteva di trasportare sabbia, ghiaia o pietre.

SA CUBIDINA

In autunno veniva aggiunta il tino per la vendemmia, sa cubidina de binnennai, in genere più grosso e più largo dei soliti tini. Per collocare sa cubidina,era indispensabile smontare i montanti del carro, is cubas.
Sopra sa cubidina, per aumentare il carico, poteva essere sistemata sa cilandra, una fila di rami di frasche le cui punte erano infisse sull’uva, sporgenti al disopra del bordo dello stesso tino, fino a 60 - 80 centimetri.

 

I BUOI


I buoi potevano essere domati tutti e due o solo uno, in questo caso se ne aggiogava uno non Carro a buoidomo ad uno già domato, abituandoli prima a camminare e poi a lavorare congiuntamente. Una volta addestrato come bue di sinistra, s’ ‘uoi de manca, questo si abituava a quella mano e col solo invito del conduttore: “Assè a su tuu!” “Avvicinati al tuo posto!” si appressava al giogo.

I NOMI DEI BUOI

Il giogo dei buoi veniva nominato in maniera particolare; a ogni bestia veniva attribuito una parte di una frase a senso compiuto, i due nomi dovevano formare una battuta. Era un modo, un po’ singolare, di mandare dei messaggi in codice.
Si poteva comunicare all’amata:
Bollemu bivi - Po biri a tui” Vorrei vivere - Per vedere te;
si ricordava un fatto accaduto:
“Prima de su tempus - Poita dd’as bèndidu”.
Altri esempi:
“Atturadì - Signori";
“Saberau - Gravellu”;
“No mi nomenis - Mancu po brulla”;
“Persighi s’amori - Cun d’unu at essi”;
Po cantu bivu - No mi scarèsciu”;
 “Tzaraccu - Gratziosu”;
“Mancai ddu nerist - No dd’as a fai”;
“Su Fini - No ti fatzas”;
“Cantu ses bellu - No ti nd’acatas”;
“Circadindunu - Ancora”.

S’APPALLADURA DE IS BOIS

Nel periodo in cui erano destinati al lavoro, i buoi dovevano essere ben nutriti. Alla sera veniva Carro a buoidata la profenda, sa brovenda, una razione di paglia con fave macinate, poco dopo la mezzanotte un’altra dose, perché i buoi sono ruminanti e per saziarli occorre qualche ora.
I buoi mangiavano avidamente, strisciando i campanelli, di cui erano sempre forniti, nella vasca di pietra arenaria, is tringhitus o is campanas in su lacu, solitamente di forma cilindrica, costruita apposta dagli scalpellini, picadoris de moba o picaperderis.
Spesso i bambini venivano incaricati anche di dar la profenda ai buoi, e tra un pasto e l’altro dormivano su un giaciglio di paglia vicino alle bestie.
Quando il campanello al collo delle bestie non tintinnava, era segno che la profenda era terminata. Guai se subito non avesse ripreso a suonare, il padre o il padrone, che vigilava dal giaciglio, avrebbe urlato al ragazzo e, qualora lo avesse trovato addormentato, l’avrebbe svegliato a pedate.
Le donne in casa, oltre a macinare le fave, avevano il compito di procurare la paglia che trasportavano con i sacchi in bilico sulla testa.
Le donne e i bambini avevano anche il compito di fornire l’acqua che prendevano dal lavatoio, dal rubinetto del Carmine, da piazza S’Osteria e dai pubblici pozzi. La rete dell’acquedotto era ancora da costruire. Per fortuna non sempre i buoi venivano abbeverati in casa, lo si faceva solo in casi di emergenza, solitamente le bestie venivano accompagnate all’abbeveraggio alle vasche pubbliche del lavatoio, o a Lacuneddas, o a Funtanedda.
I bambini, quando non erano impegnati al lavoro, avevano anche il compito di condurre i buoi al pascolo. Li portavano a un podere chiuso, su cungiau, dove gli animali potevano pascolare liberamente restandovi anche la notte o dalla mattinata fino a sera.

 

IS CARRADORIS NELLA FORESTA

I carri che venivano usati in foresta erano numerosi ed esclusivamente carri a buoi.
I carrettieri iniziavano il lavoro di pari passo con quello dei boscaioli e carbonai, a volte con qualche giorno o settimana prima.

LA COSTRUZIONE DELLE STRADE

Nel taglio dei boschi i lavori avvenivano in successione.
Iniziavano gli stradini col ripristinare o costruire ex novo la strada che conduceva alla dispensa; quindi, i carri potevano trasportare dal paese i materiali per il restauro o la costruzione della stessa cantina.
Sempre gli operai addetti alla costruzione e manutenzione delle strade aprivano le altre carrarecce fino all’ultima carbonaia, la quale distava non più di cento metri dallo spartiacque del monte sottoposto a taglio. Ovunque il terreno lo permettesse, dovevano giungere i carri. Non era sempre agevole costruire le strade; talvolta per aprire un varco nei tratti rocciosi usavano la dinamite; altre volte dovevano costruire dei muri altissimi con pietre a secco. La bravura di quei costruttori la si può ammirare ancor oggi in molti posti, a 50 - 60 anni dalla loro costruzione!

IL VIAGGIO

I trasporti in foresta avvenivano sempre dai punti di carico, dove i taglialegna accumulavano il Carro a buoilegname, al piazzale dove veniva radunato il materiale, s’impostu, legna o carbone, prima di essere trasportato in paese.
Il carro pare fosse collaudato per trasportare fino a 40 quintali, ma in un territorio come quello di Villacidro, carichi simili erano impensabili, almeno nei monti; nondimeno arrivavano a caricare anche 20 quintali, che non era poco.
Riempito il carro, su carradori iniziava la discesa con la guida detta a manixu de ananti, l’uomo, cioè, si metteva davanti ai buoi e li incitava con la voce e il pungolo, su strumu. Procedeva lentamente, con attenzione, ovviamente con le ruote frenate.
In genere i buoi erano pazienti e docili e obbedivano alla guida dell’uomo.
Responsabile di un comportamento stravagante era spesso lo stesso conduttore, il quale, allora, veniva detto di animo cattivo, de suidu malu; in quel caso la bestia cercava di prender il sopravvento sull’uomo.
Finito un viaggio ne iniziavano un altro. Si fermavano solo con il buio. Durante la notte riposavano solamente i buoi, in qualche modo. Alla sera, i conduttori davano sa brovenda alle bestie, poco dopo la mezzanotte si alzavano e nuovamente ddus appallànt. Le fave venivano portate in foresta già macinate dalle donne o dai bambini, i quali venivano messi a lavorare sin dalla più tenera età.

IS BRAVUS CARRADORIS

Il carattere e la personalità del conduttore erano importanti perché il lavoro fosse svolto nel migliore dei modi. Egli doveva badare bene a non farsi male e a non farne alle bestie che erano il vero Carro a buoisostentamento della famiglia.
Le stradine di montagna erano strette, permettevano appena il passaggio di un giogo, cherasentavano alberi o rami sporgenti. Dovevano accompagnare attentamente i buoi evitando, soprattutto, che le corna andassero a sbattere e si spezzassero. Nel passato vi erano dei buoi dalle corna molto lunghe che creavano non poche preoccupazioni al conduttore.
Un bue privo di un corno era inutilizzabile per il lavoro e dunque doveva essere abbattuto. Se il bue scornato era di proprietà del conduttore, era lui a subirne le conseguenze; se invece il conduttore era un servo, il bue veniva macellato, spesso venduto a bassa macelleria, a prezzo ridotto, e quello pagava la differenza tra il ricavato e l’occorrente per comprarne un altro in grado di lavorare.
Per fortuna tali incidenti non erano molto frequenti.

 

INCIDENTI

Numerosi erano gli infortuni che potevano capitare durante il difficile e duro lavoro.
  Il carradore metteva in pratica tutta l’esperienza e l’abilità nel sistemare bene il carro, nell’equilibrare il carico. Ciononostante, capitava che nelle stradine strette e tortuose di montagna e col carico alto, il carro si rovesciasse con i buoi attaccati. In genere per rimettere a posto le cose era sufficiente scaricare la legna e dare una spintarella al carro. Se si trattava di sacchi di carbone, il conducente li doveva scaricare uno ad uno, spesso aiutato dagli addetti al carico e scorico, scolettini. Molte volte si aiutavano a vicenda, con grosse funi, is funis de carru, che avevano sempre per legare bene la legna.

 

IL TRASPORTO DELLA LEGNA PER LA FAMIGLIA

In autunno, nell’intervallo tra la vendemmia, sa binnenna, e il raccolto delle mandorle, is Carro a buoicarradoris si occupavano del trasporto della legna per le famiglie, tutte, infatti, ne avevano bisogno per riscaldarsi e per cucinare. Le cucine a gas sono relativamente recenti e risalgono, almeno nel nostro paese, agli anni Cinquanta e, in non pochi casi, anche i primi anni Sessanta.
Is carradoris, spesso aiutati dai familiari, bambini, giovani e a volte anche dalle donne, andavano in foresta, dove il Comune aveva permesso il taglio del sottobosco, che variava di anno in anno, e, pagando una semplice tassa per il diritto di legnatico, raccoglievano corbezzolo, fillirea, lentischio, erica, oiòi, arridebi, modditzi, ùvara, e qualche pianta di leccio, ìbixi, malata o secca. Con i carri percorrevano le carrarecce costruite durante il taglio della foresta, talvolta ne aprivano qualche tratto nuovo.

Alcuni carradoris andavano a vendere la legna nei paesi vicini. Non tutti erano bravi e non tutti erano onesti. La remunerazione non era in base al peso di legna trasportata, ma al carico. In genere si barattava un carro di legna in cambio di un sacco di fave. Dunque, il carro doveva essere ben pieno, alto e ben vistoso.
I furbi, specialmente quando trasportavano la legna per venderla nei paesi del circondario, facevano il carico bello all’esterno, mentre mettevano nell’interno frasche di poco conto; quando i malcapitati acquirenti si accorgevano, li costringevano a riprendersi la legna già scaricata.

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