PRINCIPALI FESTIVITA'
1 gennaio, Capodanno, festa de SU TRIGU COTU, il grano cotto
Dai primi anni 1990 la Pro Loco di Villacidro ha ripristinato una tradizione in uso nel passato: l'offerta del grano cotto, SU TRIGU COTU, il giorno di Capodanno.
Dopo la cena dell'ultimo dell'anno si metteva il grano in una pentola di terracotta piena d'acqua e si faceva bollire sul fuoco. Poi, tolta dalla fiamma, la pentola veniva tenuta calda tra la paglia e le coperte di lana, in modo che durante la notte si completasse la cottura.
Alla mattina il grano, condito con la sapa, veniva offerto
ai vicini e parenti che non ne avevano. Si faceva SA MANDADA.
I bambini andavano a bussare nelle case e a domandare:
- SI NDI 'ONAT DE TRIGU COTU? (Ci da' un po' di grano cotto?)
Il grano era segno di ricchezza e di prosperità.
Era l'augurio per il povero affinché gli capitasse un anno più
prosperoso, per l'agricoltore l'auspicio di un raccolto abbondante.
Adesso, all'alba del nuovo anno, il grano viene tolto
dall'acqua e condito con la sapa diluita nel miele.
A piccoli gruppi, i soci della Pro Loco portano il grano, così preparato,
davanti alle tre chiese del paese: S. Barbara, S. Antonio, la Madonna del
Rosario, e alle 7,30, all'uscita della messa, offrono un bicchiere di trigu
cotu ai fedeli come augurio di prosperità e di ricchezza.
Il familiare, tornando a casa con il bicchiere pieno di grano e sapa, lo porge
ai bambini spiegando la memoria dell'usanza passata.
Nel pomeriggio comincia la festa in piazza.
Viene dato in assaggio alla popolazione convenuta davanti alla barraca,
la tradizionale capanna di frasche appositamente costruita per l'occasione,
il grano con la sapa e del pane abbrustolito spalmato con un paté
di olive o di crema di formaggio piccante, castagne e vino novello, SU
PIRICIOU.
BONUS PRINZIPIUS E MELLUS ACABUS, A ATRUS ANNUS.
17 gennaio (domenica successiva), S. ANTONIO
abate,
Festa organizzata dal Comitato di Sant'Antonio
S. ANTONIO ABATE
SU FOGADONI e offerta del pane benedetto
S. Efisio, S. Antonio e S. Sebastiano erano le tre grandi feste che aprivano il nuovo anno, delle tre è rimasta solamente quella dedicata a Sant'Antonio abate.
Nella mattinata della vigilia, numerosi volontari si
dirigono verso varie località campestri per raccogliere
la legna per il grande falò, SU FOGADONI.
All'ora del mezzogiorno, la compagnia si raduna per il tradizionale spuntino
a base di salsiccia, formaggio abbrustolito, fave, annaffiati dal vino locale.
Nel primo pomeriggio, tutti montano nei trattori e, con
i carrelli colmi di legna, creano una lunga comitiva che allegramente e chiassosamente
sfila nelle vie del paese per dirigersi verso il luogo destinato al grande
falò.
Vengono ammucchiate le fascine, la grande quantità di tronchi e radici,
poi il sacerdote dà la benedizione e viene acceso su fogadoni,
il fuoco che arderà per tutta la notte.
L'indomani, gli agricoltori raccolgono le ceneri del falò e le spargono
sui campi a propiziazione di una buona annata e di un raccolto abbondante;
i carboni vengono gettati qua e là lungo le siepi degli orti e giardini
per preservarli dagli incendi.
Il giorno della festa, di pomeriggio, si svolge la processione
religiosa per le vie cittadine a seguito del santo. Si colclude sul sagrato
della chiesa parrocchiale, dove vengono benedetti gli animali (Sant'Antonio
è il protettore degli animali).
Dopo la celebrazione solenne della messa, il Comitato organizzatore distribuisce
il pane benedetto che ognuno porta a casa e lo spezza insieme
a qualche ammalato o anziano che non è potuto essere presente di persona.
LA SETTIMANA SANTA E PASQUA
I RITI DELLA SETTIMANA SANTA E PASQUA
Con
la Domenica delle Palme, i riti quaresimali si fanno più intensi.
Villacidro commemora la passione, morte e risurrezione di Gesù con le funzioni
tipiche legate alla tradizione sarda e con qualche punta di originalità.
Gli eventi più suggestivi sono le processioni del VENERDI'
SANTO.
Di mattino presto, la Via Crucis parte dall'Oratorio delle Anime, si
snoda lungo i rioni del paese e si conclude nella chiesa parrocchiale di S.
Barbara con la cerimonia che rievoca la passione e morte di Gesù.
Ii solenni accompagnatori del Cristo condannato e della Madonna
addolorata, sono i CONFRATELLI, CUNFRARAS, della Confraternita
della Madonna del Rosario, vestiti del tradizionale saio bianco e della
mantellina nera, con il capo coperto da un cappuccio bianco legato all'indietro;
e il Cireneo, un penitente, scalzo, completamente vestito di nero, il volto
nascosto da un cappuccio nero, il quale porta per tutta la processione la
grande croce di legno in cui verrà crocifisso Gesù.
SU
MOMOTI, così viene chiamato
questo personaggio, è una figura propriamente locale, che da sempre apre la
processione dei misteri la sera del Venerdì Santo.
Lo fa per spirito di penitenza, per devozione o per voto fatto a ringraziamento
di una grazia ricevuta in momenti difficili della vita.
Il venerdì sera, all’imbrunire, si svolge la processione del Cristo morto,
seguito dalla Madonna vestita a lutto.
La
DOMENICA DI PASQUA, DOMIGU DE PASCA MANNA, dopo la messa, la gente
si dirige verso piazza Frontera per la cerimonia de S'INCONTRU,
L'INCONTRO: il punto di
arrivo, il momento più alto, la conclusione dei suggestivi riti della Settimana
santa.
La Madonna con il velo nero, in segno di
lutto, si presenta da Via Garibaldi, mentre il Cristo risorto appare dalla
Via Roma e si incontrano al centro della piazza;
insieme poi, con il gioioso suono delle campane finalmente sciolte, della
banda e la gente in festa, si dirigono verso la vicina chiesa di S. Barbara
per celebrare la solenne messa.
LA SAGRA DI SANT'ISIDORO
maggio, S. Isidoro, Sagra e sfilata tradizionale,
organizzata dal Comitato di Sant'Isidoro
LA SAGRA DI SANT'ISIDORO,
che si celebra da tempo immemorabile
a Villacidro, ha sempre rappresentato un'occasione di festa per gli agricoltori
e i lavoratori dei campi, come a impetrare la protezione sulle
colture agricole delle improvvise e rovinose tempeste, carestie, siccità: Sant'Isidoro è il santo della gente dei campi.
La sagra ha avuto sempre come suo punto di riferimento la chiesa di Sant'Antonio,
prima succursale e poi divenuta parrocchia anch'essa negli anni Cinquanta.
Nella parrocchia
di S. Barbara aveva analogo riferimento la festa di S. Efisio,
invocato
come il santo protettore di tutta la Sardegna:
per entrambi però la festa
si celebrava in modo similare, con sfilata di numerosi gioghi di buoi
e cavalli "mudaus", cioè bardati a festa con grandi
collane, drappi, ghirlande sgargianti di fiori e i buoi con i limoni sulle
corna.
Nella festa di S. Efisio avevano la prevalenza i cavalli, in omaggio
al Santo guerriero, anche se non mancavano anche i buoi
sia pure in numero ridotto.
Sagra di S. Isidoro 2001, processione
tradizionale.
Il santo viene portato con un carro trainato da buoi addobbati a festa.
C'erano
anche le "tracas", i carri addobbati a festa con la
riproduzione di scorci di vita e ambienti domestici, carichi di uomini
e donne che accompagnavano il santo .
Per la festa di Sant'Isidoro prevalevano i buoi "mudaus"
con cortei interminabili (ricordo di aver contato io stesso in qualche
sfilata non meno di trecento animali) accompagnati dai bovari che impugnavano
su "strumu", il pungolo rivestito con una fettuccia colorata
e con i fiori.
Le
strade venivano anch'esse adornate con fiori di campo (caraguntzus,
margherite, ecc.) e nelle case, per le vie dove passava il Santo venivano
esposti alle finestre gli arredi più belli, tappeti coperte , merletti
con una partecipazione molto sentita.
Precedeva sempre il Santo il suonatore di launeddas che fino agli anni
50 era Ramundu Bardiliu, e dietro uomini e donne che cantavano
a voce spiegata in sardo, mentre ogni tanto il fragore dei mortaretti
echeggiava per l’aria dando a tutto il popolo con le campane il segno
della festa.
Durante la messa con la predica, seguita sempre con molta attenzione,
veniva anche sparata la «batteria» con i mortaretti e il fracasso, secondo
i punti di vista faceva aumentare e diminuire la devozione: ma quello
era il modo di far festa, e aveva un seguito di notte con i fuochi d’artificio.
La figura di sant’Isidoro era molto amata, come
lo è anche oggi, perché gli agricoltori e i lavoratori dei campi lo sentivano
e lo sentono come uno di loro, ed erano suggestionati dall’esempio di
laboriosità del santo impegnato come loro nella dura fatica dei campi,
ma sempre unito a Dio con la preghiera.
La sua preghiera principale consisteva nell’offrire a Dio con gioia il
suo lavoro e il suo sudore. Era talmente grande la sua pietà
che, spesso, raccontano i suoi biografi, cadeva in estasi in
contemplazione. Allora, secondo la leggenda, gli angeli intervenivano
per compiere il suo lavoro.
Con gli anni Sessanta, man mano che sono state introdotte le macchine
agricole, e con la progressiva scomparsa dei buoi, la processione
ha avuto una sua inevitabile evoluzione per cui la sfilata degli animali
è stata sostituita da quella dei trattori, con un impegno
e una devozione non inferiore al passato: uomini,
donne, giovani e meno giovani si danno da fare per addobbare al meglio
le loro macchine ricostruendo artificialmente ambienti domestici e rustici del passato.
La processione si svolge con un ritmo e uno stile
nuovo, rispetto al passato, ma non per questo la devozione è minore.
S.A.S.
LA SAGRA
DELLE CILIEGIE
giugno, S. Giuseppe, Sagra delle ciliegie,
Località Villascema, organizzata
dalla PRO LOCO
I
ciliegi ci sono sempre stati, e la loro cultura, come tramandato dalla
tradizione, è passata nel tempo da padre in figlio.
Nei mesi di maggio e giugno le donne villacidresi riempivano i loro “cadinus”
di ciliegie, raccolte con cura e dedizione.
I bambini saltavano da un ciliegio all’altro per cogliere quelle dei rami più alti, con le ciliegie ornavano di rosso i loro orecchi e intrecciandole l’un l’altra
formavano “is tronus”, che loro stessi portavano a valle quale segno
dell’impegno profuso.
La raccolta delle ciliegie era semplicemente una festa e le famiglie dei contadini
coglievano l'occasione per stare tutti insieme, grandi e piccini.
Dal 1970 si celebra la SAGRA DELLE CILIEGIE presso la chiesetta
di San Giuseppe, nella zona di Villascema, ai bordi delle “chiare, dolci,
fresche acque” dell’omonimo rio.
In quel giorno i produttori locali gioiscono nel teatro della natura, dei
sogni, dei ricordi, dei fiori, dei profumi, del gioioso vociare delle ciliegie.
L’ambiente che si crea è simile alle feste paesane, quando i nostri genitori
ci tenevano per mano per non perderci nella ressa.
P. O.
A giugno la festa di S. PIETRO
organizzata dal Comitato di San Pietro, la festa
si svolge presso l'omonima chiesetta campestre
15-30 luglio la festa della MADONNA
DEL CARMELO
Presso l'omonima chiesetta
Ogni
anno, dal 15 al 31 luglio i Villacidresi, uomini, donne e bambini
confluiscono nella chiesetta della Madonna del Carmelo per assistere
alle funzioni religiose, per poi girovagare nel colle del Carmine,
per apprezzare la brezza fresca all'ombra della pineta, per scrutare
dall'alto il paese e ammirare il bel panorama.
La festa inizia il 15 luglio con la processione che
accompagna la statua della Beata Vergine del Carmelo dalla parrocchiale all'omonima chiesetta.
Si chiude dopo 15 giorni quando, subito dopo l'imbrunire, al lume
delle candele dei fedeli, il simulacro viene riaccompagnato in parrocchia.
E' questo uno dei momenti più affascinanti: migliaia di lucine
si inseguono nei tornanti della stradina montana in un suggestivo
corteo, poi la lunga coda di folla si disperde in una marea nelle
adiacenti piazze XX settembre, Zampillo, S. Barbara.
E' una festa unica nel suo genere: non ci sono bancarelle,
arrosti, musiche; chi ci va alla chiesa del Carmine cerca solo silenzio e meditazione.
E'
forse la sola, tra le grandi celebrazioni, che ha mantenuto un carattere
prettamente religioso.
LA
FESTA DI S. SISINNIO
Prima domenica di agosto, San Sisinnio, organizzata
dal Comitato di San
Sisinnio
Processione il sacerdote con
la reliquia del santo,
accompagnato dalla cavalleria, dalla scorta armata, dalla Confraternita,
dalla banda e dai fedeli,
vanno alla chiesa campestre di S. Sisinnio.
La tradizionale festa in un dettagliato racconto del 1893
di
Giuseppe Manno ("Villacidro").
"Fin
dalla vigilia della festa, che occorre invariabilmente la prima domenica
d'agosto, si vedono molte famiglie dei comuni limitrofi e specialmente di
Serramanna, recarsi a quell'ameno poggio sui loro carri o carrettoni adattati
a tracca, sormontati cioè da una coperta bianca, detta fànuga,
che viene assicurata a cerchi di legno, mediante nappette a varii colori.
Là ogni famiglia ripone i suoi bagagli sotto uno dei grossi alberi,
che stanno presso la chiesa e vi sta come in casa propria, avvegnaché
tali alberi vengano designati assai prima, anzi taluni li considerano come
loro proprietà per aver anche i loro maggiori preso posto sempre in
quel dato sito.
Il venerdì avanti la vigilia il parroco, a cavallo e accompagnato
da immenso popolo, trasporta da Villacidro la reliquia del Santo.
Questa processione acquista un aspetto assai curioso, per la numerosa cavalleria
che la precede, della quale si terrà parola in seguito.
Terminata la festa, cioè la domenica sera, il reliquiario viene ricondotto
in paese allo stesso modo.
Durante la lieta ricorrenza in quel luogo pittorico si fa una piccola fiera
di merci, prodotte dalle industrie isolane.
Sovratutto e però rimarchevole il numero dei vivandieri, liquoristi
e dolcieri che offrono pochi per pochi soldi tante leccornie.
La festa riesce allegra, animata, piacevole. Da una parte ci si sente chiamare
dai venditori dei bianchi torroni, confezionati di mandorle, fior di farina,
albume, mele e zucchero, che pregano di acquistare la loro merce eccellente.
Dall'altra ci feriscono l'orecchio i gridi altosonanti dei chiassosi venditori
dei classici porcelleti che, stando esposti così macellati, col ventre
e bocca ripiena di tenere frondi di mirto, solleticano l'appetito dei passanti.
Nè a confortare l'ugola riarsa dall'intenso calore d'agosto, mancano
quei d'Aritzo, che per poca moneta offrono i loro gelati, detti carapigna.
Qua e là poi un gran numero di botti e carratelli, pieni d'inebbriante
liquore, così che un bicchiere di vino nero o bianco o un generoso
gotto di vernaccia di Solarussa di moscato di Gesturi.
E tutte quelle voci alto e fioche, che i merciaioli ivi attendati fanno echeggiare
per l'aria calda, afosa, vengono dominate dai buffi ritornelli che, con voce
robusta, fanno sentire gli allegri venditori di nocciuole e ceci abbrustoliti.
Il
concorso dei festaioli v'è quasi sempre notevole. Quell'ameno poggio,
che durante l'anno rimane sotto il dominio del silenzio e della maestose solitudine,
presenta un grazioso spettacolo per la moltitudine allegra e spensierata,
che si diverte in mille guise e compie in mezzo al verde di quei siti romantici
tanti idilli che deliziano l'anima.
Dapertutto si nota un viavai continuo, un allegro vociare, un brulichìo
assordante, che ascoltato in lontananza somiglia il fremito d'un torrente
che straripi, che stia per investirci da ogni parte.
Da mattina a sera i festaioli accorrono incessantemente in chiesa per assistere
agli uffizi divini, per sciogliere i loro voti. Poi riuniti in gruppi più
o meno numerosi si fermano attorno ai loro carri, dove stanno tutte le provviste
per la circostanza.
E nei diversi siti occupati in breve s'accende il fuoco per cuocere le vivande,
arrostire i grossi tocchi di carne e gli appetitosi porcellotti, che denno
allietare quelle mense, improvvisate lì, con tovaglie di bianco lino,
distese sull'arido terreno.
Nugoli di fumo salgono da ogni parte nell'atmosfera, che diventa grave, soffocante,
per quell'odore di grasso che la vizia, e tutta quella gente fortunata, seduta
per terra, in circolo, con le gambe a croce, come i Turchi, non pensa che
a far sparire tutto quel ben di Dio apprestato, accompagnando le saporite
pietanze con larghe libazioni di ottimo vino.
Il pranzo riesce gaio, piacevolissimo: il conversare fra i commensali si fa
sempre più animato e chiassoso a misura che più s'alza il gomito,
e, in un o a quel vociare allegro e confuso, s'odono i cozzi dei bicchieri
scintillanti.
Levate le mense le persone in liete brigate si disperdono per le vigne e per
gli ombrosi sentieri, o al rezzo di qualche albero fronzuto improvvisano il
ballo tondo al suono delle tradizionali launeddas o degli organetti.
La domenica il concorso diminuisce sensibilmente.
I festaioli, dopo aver adempito il loro dovere di buoni cristiani nel tempio
votivo, dopo essersi divertiti un mondo fra le delizie della cara festicciuola,
pensano a far ritorno alle loro case.
La mattina del lunedì quel poggio è quasi deserto. Al
brio straordinario del giorno innanzi, alla gaia spensieratezza, succede la
solita calma monotona, che, col ricordo soave della festa passata, mette nell'anima
un senso di dolce mestizia.
La chiesa solitaria conserva ancora le traccie del lieto avvenimento. I grossi
festoni di mirto, attaccati al frontispizio, cominciano ad appassire, esalando
una fraganza soave.
Qua e colà qualche fanciullo vagabondo, che razzola fra i mille frantumi
di carta ed i rami di mirto e di corbezzolo, sparsi per ogni dove e calpesti,
colla speranza di rinvenirvi qualche moneta od altro olio, in mezzo al trambustìo,
v'avessero smarrito i festaioli.
Il lunedì la festa si continua qua in paese; e così si pone
fine alla fausta e cara ricorrenza che lascia nell'animo un grato ricordo
ed mm desiderio vivissimo di goderla ancora per lunghissimi anni."
Ultima domenica di agosto, S. IGNAZIO
4 dicembre, SANTA BARBARA patrona di Villacidro
— Su —
© Tutti i diritti sono riservati.
by pisolo